La vecchia madre
Non potendo dormire, la vecchia madre usa alzarsi quando ancora è buio, scendere in cucina e farsi il caffè. Dopo, si mette seduta sul divano nella stanza da pranzo, se ne sta lì a fumare e aspetta che venga giorno. Le piacerebbe mettersi a fare i lavori di casa: spazzare le scale, lavare i pavimenti, lavare porte e finestre. Non può, perché tutti dormono; e questi atti che pensa e non compie la accendono di un freddo fuoco.
Di solito, verso le sei e mezzo, si svegliano i bambini, figli dei suoi figli, venuti a stare con lei nei mesi d’estate. La vecchia non si muove dal suo divano. In un tempo remoto e felicissimo, giovane e non vinta dalle disgrazie, alzava i suoi bambini appena svegli, li lavava, gli dava il caffellatte e li portava fuori. La sua propria madre le aveva insegnato che tutto questo era essenziale. Lei ricorda di essere stata molto disordinata e pigra; c’era tuttavia nel suo disordine un pensiero incrollabile: che i bambini appena svegli dovevano essere alzati, insaponati con forza, spruzzati di borotalco, e portati, dopo il caffellatte, nel primo e fresco sole del mattino.
Oggi vorrebbe fare lo stesso con i figli dei suoi figli: ma un’operazione così semplice, come alzare e lavare questi nuovi bambini, non le è consentita. Questi nuovi bambini hanno, nelle loro stanze, biscotti e giornalini illustrati; si alzeranno più tardi, quando a loro stessi piacerà; gireranno per casa nei pigiami di spugna e spargeranno giornalini e biscotti sui genitori immersi nel sonno. Infine, anche i genitori si svegliano, si alzano e scendono in cucina, arruffati e scalzi: non hanno ciabatte o non si curano di cercarle sotto i letti: la vecchia madre si chiede per quanto tempo sussisterà ancora l’industria delle pantofole, poiché la gente sembra giudicarle inutili. Brancolando ancora nel sonno, i giovani genitori cercano per la cucina pane e tazze. Comincia una lunga colazione caotica, senza caffellatte: il caffellatte, come le pantofole, sembra stia scomparendo dalla faccia della terra. Girano uova strapazzate e sughi di frutta in bottiglia; e una sostanza orribile, scura e untuosa, che si spalma sul pane. I bambini vengono interrogati su quello che vogliono mangiare: non lo sanno, e l’indecisione li fa piangere; fuori il sole è già caldo e la vecchia madre pensa che i bambini dovrebbero essere al sole da un pezzo; tace, perché si è ormai abituata a tacere; pensa che il modo come vengono allevati questi nuovi bambini è molto complicato e faticoso; il modo antico era forse autoritario e sbadato; in quell’atto di alzarli appena svegli, lavarli e metterli fuori c’era forse, come dicono ora i suoi figli, un atto di prepotenza e di imperio; la vecchia madre si chiede se anche il caffellatte era una prepotenza: lei stessa lo detestava, ma lo trovava buono quando lo bevevano i suoi bambini.
Frattanto i giovani genitori discutono se andare al mare per tutta la giornata o invece solo al mattino: sembrano ignorare che il mattino è ormai quasi trascorso. Discutono a che spiaggia andare e con quale automobile andare; la madre pensa che l’aspetto essenziale nei giovani oggi è l’indecisione. Nell’indecisione dei genitori sono coinvolti i bambini; piangono, perché l’indecisione li esaspera; mescolano alle incertezze dei genitori le loro proprie incertezze, chiedono in lagrime come saranno vestiti e quali giochi dovranno portare; a un tratto i genitori si arrabbiano, nella rabbia assumono accenti tragici; questi nuovi genitori non usano sgridare i bambini, ma quando perdono la pazienza credono di dover fare un volto tragico: i bambini singhiozzano, i genitori subito pentiti si appartano con i bambini e non li consolano, ma forniscono loro in un segreto sussurro diffuse spiegazioni sul proprio comportamento. La vecchia madre pensa che i rimproveri rapidi, sbadati e distratti, furiosi e subito dimenticati, sono un’altra cosa scomparsa dalla faccia della terra. Infine, se ne vanno, pieni di salvagente, secchielli, asciugamani e borse; e la vecchia madre pensa che potrà fare i lavori di casa.
Sulla porta, nuore e figli le ingiungono di non fare nulla; nelle stanze, essi dicono, è già tutto fatto. La madre, appena se ne sono andati, va nelle stanze: con un piacere torvo e selvaggio, butta all’aria i letti già ricomposti e raccoglie canottiere e giornali. Il numero delle loro canottiere è infinito; se ne trovano ovunque nella casa, macchiate di frutta e intrise di sabbia; e infinito è il numero dei giornali, che lasciano sparsi ovunque sui loro passi. La madre sa che d’inverno essi vivono in un modo diverso; figli e nuore lavorano, i bambini vengono forse lavati appena svegli e portati all’asilo. L’indecisione è un frutto delle vacanze; esplode nell’estate, ma è forse sempre nascosta nella vita dei giovani, come un istinto di vacanza eterna dove il tempo langue, tra fiumi di parole senza scopo.
(Natalia Ginzburg, I lavori di casa in Mai devi domandarmi, Garzanti)